Il 13 e 14 luglio si è svolta a Schwechat (Vienna) la Mainland Cup 2013. La manifestazione riservata alle squadre nazionali è un europeo in miniatura. Non solo per i due giorni di gara invece dei 4-5 soliti, ma proprio perché ospita le squadre europee escludendo quelle delle isole britanniche, impegnate un mese prima nel torneo Home Nation (quest’anno svoltosi a Dublino).
La Mainland Cup occupa l’anno in cui solitamente non ci sono né gli europei, che cadono biennalmente negli anni pari, né i mondiali, ogni 4 anni negli anni dispari.
Questa volta però non vi racconto di squadre di Touch, se non in modo indiretto, vi parlo di arbitri, della squadra degli arbitri.
Come ad ogni torneo del calibro di Europei, MainlandCup o Mondiali, la squadra arbitrale è la più numerosa. Questa volta eravamo 30, seguiti e guidati da 5 allenatori di arbitri. Questi tre tipi di eventi sono quelli presso i quali noi arbitri proviamo a migliorare e a convincere gli allenatori che siamo effettivamente migliorati, sono i tornei nei quali è possibile ricevere upgrade di livello da livello 2 in su.
Il mio torneo è stato tribolato, ma ugualmente utile e divertente. Non ho raggiunto nessuno dei due obiettivi che mi ero posto, forse troppo lontani e cercati con spensierato ottimismo. Avrei voluto far parte di una finale (che significa entrare nel ranking arbitrale) e soprattutto raggiungere l’agognato livello 3, l’ultimo che va a seguito di un corso specifico.
Dove ho fallito? Beh innanzitutto non ho fallito. Il torneo mi ha comunque allenato e fatto avanzare di esperienza e tecnica, i coach presenti su ogni campo ad ogni partita sono qualcosa di impagabile e possibile solo ad un evento di tale portata.
Nel dettaglio: mi è mancata preparazione fisica specifica. Credo di aver lavorato bene sulla forma di base, ma arbitrare a quel livello di gioco significa essere in grado di fare scatti di 10-20 metri ogni 1-2 secondi per 40 minuti di partita. Tre volte al giorno. Naturalmente garantendo un certo standard di arbitraggio dalla prima all’ultima partita.
Inoltre mi è sicuramente mancata abitudine, mentale e fisica, al livello di gioco. Inutile sottolineare che il livello espresso dalle nazionali europee, pur orfane del Regno Unito, è qualcosa di ben lontano ancora dal nostro campionato, e non aver arbitrato in nessun torneo europeo di spessore durante l’anno fa si che questi appuntamenti siano come dei sorsi d’acqua in mezzo al deserto: non c’è tempo per sintonizzarsi, per assaporare, bisogna essere subito pronti ad entrare in partita.
Il livello 3 non arriva perché il mio arbitraggio è stato altalenante: sempre una partita per carburare, sempre una buona (ottima il secondo giorno) seconda partita giornaliera, sempre una insufficiente terza partita la sera. E se si pensa che man mano che si va avanti in un torneo, le partite diventano più importanti per i giocatori, non si può certo pensare di arbitrare molto bene una semifinale e ritrovarsi con il fiato corto a sbagliare una finale.
La speranza è di riuscire a portarmi sulle spalle la stessa tecnica e la stessa esperienza nei tornei nostrani, e a trasmetterla ai nostri arbitri più giovani o meno esperti. Altro punto importante su cui lavorare, infatti, sarà l’esser capace di dare l’esempio e saper mantenere una buona leadership anche quando il gioco sarà di nuovo più simile al primo approccio dei giocatori principianti, rispetto a quello di una squadra francese in ottimo spolvero e ben lanciata a dar fastidio alle squadre inglesi nel 2014.
Il torneo si è chiuso con una piacevole festa, durante la quale la birra letteralmente pioveva sul mio tavolo, e forse costava troppo poco perché davvero sembrava non smettere mai di arrivarne. Eh sì, anche gli arbitri a fine torneo condividono la stessa passione dei giocatori.