Difficile condensare in un articolo il Mondiale di Coffs Harbour. Difficile essere esaustivi, senza peccare di pedanteria quando il vortice di immagini, colori, umori e sensazioni ti ha shakerato per una settimana intera. Difficile rendere appieno la bellezza di un evento così arduo e civile, con delle semplici parole. Certamente resterà impresso nella memoria di tutti coloro i quali ne hanno preso parte, a prescindere da risultati e classifiche. Certamente in tutti noi c’è la voglia di portare in Italia quanto di buono appreso.
L’elemento naturale, da cui cercare di iniziare il racconto, è la pioggia. Fa sorridere pensando all’Australia, nella mente di tutti, posto soleggiato con spiagge chilometriche. E invece, proprio durante la settimana del Mondiale, un monsone si è riversato su tutta la costa nord orientale del paese, creando notevoli disagi. Pioggia copiosa ed infinita, che ha finanche imposto un giorno di sospensione nel momento del picco massimo, il venerdì, con torneo slittato di un giorno e parecchie partite cancellate per impraticabilità dei campi. Eccezion fatta per i prati dello stadio centrale, incredibilmente rimasti illesi e perfetti per tutto l’arco del torneo, i campi periferici avrebbero trovato difficoltà ad essere omologati ‘classe b’ nel nostro campionato.
Pensando al Touch, si pensa ad uno sport molto dinamico, fatto di rapidi spostamenti e passaggi di qualità, tutti fattori naturalmente penalizzati da campi pesanti e palloni-saponetta. È inevitabile che la qualità generale del gioco, pur restando in alcune partite stratosferica, ne abbia risentito pesantemente.
Va ammesso che le stesse condizioni ambientali hanno inciso particolarmente anche nella qualità delle relazioni amicali che in un torneo come questo, di solito, si generano. È mancato il piacere di scorrazzare di campo in campo a godersi le centinaia di partite, di qualsiasi livello, che il Mondiale offre. Si era tutti barricati nella propria porzione di tendone, a cercare un po’ di riparo dalle intemperie, caricandosi in attesa della partita successiva.
E pensare che, nei giorni precedenti al torneo, il clima era mite, piacevole, perfetto.
Facendo un passo indietro, la nostra open mixed – capitolo a parte meriteranno i nostri giovanotti della over ’50 – si ritrova al completo il giorno prima dell’inizio. Agli ordini di coach Ferro vengono svolte un paio di sedute d’allenamento, su uno splendido prato pubblico. Viene chiarita nel dettaglio quella che dovrà essere la struttura difensiva, con specifiche illuminanti sul concetto di shut down defence. Vengono, inoltre, introdotte alcune giocate – Roma, Sweetheart, A – semplici, ma che si riveleranno utili nel prosieguo dell’avventura.
La squadra è complessivamente ben assortita, composta da giocatrici e giocatori decisamente coraggiosi; praticamente gli unici a preparare il massimo torneo in un giorno, senza la benché minima conoscenza reciproca. Potere del Touch, unito alla tipica incoscienza italiana.
Un dato da segnalare è certamente il maggiore livello delle ragazze/signore rispetto ai ragazzi, in questa open mixed. Le 4 giovani fanciulle di Sydney – Caitlin Cimarrosti, Brooke Ferro, Jane e Clare Vanzino – sono delle furie aggraziate. Giocano al Touch da sempre, e si vede. Finte, sidestep, qualità nel passaggio, rigore nello svolgere i compiti assegnati loro dal coach, unite alla giovanissima età, le rendono decisamente determinanti. Piacevolissimo giocarci assieme. Le due Signore di Griffith, o come direbbero gli immigrati italiani “griffitì”, giocano anch’esse da quando erano bambine. (In Australia hanno la fortuna di cominciare a scuola..). Melinda Forner in Bonetti e Julia Schirripa in Punturiero. Melinda di origini venete, Bassano, Julia di origini calabresi, Gioiosa Ionica, sono una perfetta fotografia dei nostri connazionali, per forza o per piacere, emigrati in Australia. Orgogliose delle proprie radici italiane, conservano gelosamente i loro divertenti dialetti, che i nonni usavano nella vita di tutti i giorni. Donne e mamme forti, decisamente capaci, non molleranno un singolo centimetro durante la competizione.
Tutte loro sono, a nostro modesto avviso, da tenere in seria considerazione per il prossimo mondiale malesiano del 2019, qualora i numeri non ci dovessero essere come per questo.
Gli italiani giunti a Coffs hanno dimostrato gran cuore e notevoli miglioramenti, come sottolineato dal Coach.
Abbiamo la crew modenese, composta dai fratelli Golinelli, fondamentali come solo il loro aceto balsamico sa essere, e Hebble, l’unico che in Italia può dire di non aver mai perso un singolo europeo e/o mondiale, dacché la nostra Nazionale esiste.
Ci sono i brianzoli Roberto e Nicolò. Per decenza e conflitto d’interessi – stiamo scrivendo l’articolo – evitiamo commenti.
E abbiamo Simone, torinese, leprotto della prima ora, sicuramente il più forte della squadra, come dimostra anche il riconoscimento ricevuto dal coach di Hong Kong al termine della epica finalina disputata.
Ad unire questa volenterosa ciurma, il già citato Coach Alex Ferro. Forse meglio definirlo Head Coach, visto che nel suo Club di Sydney, Renegades, svolge il ruolo di allenatore degli allenatori. Figura che in Italia, certamente per mancanza di esperienza, non c’è, ma che servirebbe come il pane, nel computo di uno sviluppo uniforme e d’alto livello del nostro movimento. Gioca al Touch da più di trent’anni, ha vissuto dall’interno l’evoluzione di questo sport. Coach preparato e motivato, ha saputo tenere unito il gruppo, pur nelle evidenti problematiche derivate dall’improvvisazione.
Gruppo veramente unito, che ha trovato piacere nel trovarsi al di là del campo per indimenticabili cene e barbecue, conditi da simpatia e fratellanza. Sani valori che il nostro sport non deve dimenticarsi, mai.
Si diceva, nell’articolo introduttivo a questo evento, della cerimonia inaugurale fissata in data 29 aprile. Il classico giro di campo di ciascuna nazionale con inno di rito e gli australiani che organizzano un lungo corridoio, accogliendo simbolicamente ogni giocatore accorso, sono le primissime immagini. Mancando la Jamaica, veniamo affiancati da Giappone e Irlanda, nella disposizione in ordine alfabetico. Qui, l’aneddoto divertente è stato confrontare le due file, quella italiana e quella giapponese. La loro precisissima e ordinata, tutti disposti simmetricamente su linee di tre persone ciascuna, davvero notevoli. La nostra alla rinfusa, o come direbbe un compianto italiano: ‘ad minchiam’. Tra selfie e canti, ci siamo fatti riconoscere da subito. La cerimonia è proseguita con l’intervento delle autorità locali, dei vertici di FIT e conclusa da un ballo ancestrale eseguito dagli aborigeni locali.
Finiti i convenevoli, si comincia subito a far sul serio. L’Italia, non si è capito in base a quale astruso calcolo algoritmico, è considerata dodicesima nel ranking mondiale. Pertanto ci capita una testa di serie, l’Australia, futura vincitrice della categoria, e due nazionali considerate di livello inferiore al nostro, ovvero Giappone ed Emirati Arabi Uniti. Girone tosto, in sostanza.
Prima partita, EAU, esordio mondiale per loro. Da subito, data l’assenza di nomi tipicamente arabi, si evince che stiamo per giocare con una nazionale ‘multicolor’, dove i neozelandesi la fanno da padrone. Bella partita, molto ben giocata tatticamente da entrambe le compagini. Vincono di un touchdown, più per meriti di un singolo giocatore loro, velocissimo nei cambi di direzione in corsa, che per maggiori capacità collettive. Partita giocata in un clima ancora piacevole. Nel complesso nulla da recriminare, anche se è stata la prima partita in assoluto di questo gruppo. Con maggiore esperienza, si poteva tranquillamente vincere.
Passa qualche ora, comincia timidamente a piovere e ci troviamo la “lavatrice gialla” di fronte. Gli australiani dell’open mixed sono incredibili. Volano, si conoscono a memoria, hanno una manualità indicibile, fanno con estrema facilità ciò che un normale giocatore ritiene essere impossibile. Ci impartiscono, con sorriso per nulla beffardo, una notevole lezione. Non giocano per umiliarci, ma già pensano alle partite successive. La loro capitana prima della partita, impartisce un’unica regola ferrea: “guai a cercare di fare touchdown per vie centrali“. Per tutta la partita avanzano con delle semplici frecce a quattro e, arrivati ai cinque metri, optano sempre per un passaggio secco all’ala. Non cambieranno mai giocata. Ci hanno così spiegato che in fondo la base del nostro gioco è essenziale. Spesso non serve preparare 50 giocate e perdersi in tatticismi sfrenati, bensì saper avanzare coralmente, a trecento all’ora, fa sempre la differenza. Che segnatamente in questo caso comporta il risultato di ventuno touchdown ad uno, realizzato da Jane Vanzino, la prima italiana a segnare a questi mostri sacri.
Per non saper nè leggere nè scrivere, ci concediamo, sotto un diluvio universale, ma ancora ragionevole, l’armata giapponese, composta da un incrocio tra folletti e kamikaze. Non siamo arrivati col mood giusto. Dopo una giornata lunga, che ha regalato solo sconfitte, trovarci d’innanzi a questi atleti invasati è stata dura. Se è possibile, pareva corressero più veloce degli australiani. A rincarare la dose, c’era la loro ferma volontà di accedere, dal giorno successivo, ai piani alti del Mondiale. Persa la partita con l’Australia, che credevano di battere.., l’unico modo che avevano era passare tra le migliori seconde. Brucia, ma non siamo stati null’altro se non l’agnello sacrificale. Lo scarto finale è di una dozzina di touchdown.
Tolto il sassolino dalla scarpa della pool iniziale, finiamo nella terza divisione, quella che realisticamente ci competeva.
Pertanto il giorno secondo, ci imbattiamo in due nazionali maggiormente alla nostra portata. In mattinata ci capita la Germania, sopra un campaccio di patate, finisce tre a due, per loro. Ma è stata battaglia vera, in ogni singolo ruck. Qualche scorrettezza da parte loro di troppo ha rafforzato il nostro spirito di squadra, ora siamo affamati e consapevoli di poter fare risultato. Il quale arriva, finalmente, al termine di un incontro aspro, giocato impeccabilmente da tutti noi in difesa, contro Cina. Squadra composta da giocatori preparati e molto veloci. Vinciamo 6 a 2. La felicità è alle stelle, possiamo dire di aver capito i punti di forza e di debolezza, e di averli incentivati e difesi. Voliamo alle docce, sfiniti e completamente inzuppati, pronti per l’ultima giornata che avrebbe dovuto prevedere ben 5 partite. Avrebbe, perché, come si diceva in apertura, il giorno terzo è impietosamente saltato, per cause di forza maggiore. Pertanto, da bravi ragazzi, abbiamo invitato Coach e ragazze a ‘casa Italia’, dove abbiamo organizzato un pranzo speciale. Pasta e secondi vari, impreziositi da grande amicizia e del buon vino, hanno fatto da cornice ad una giornata di piogge terrificanti. Si è trovato il tempo anche di fare della video analisi. Grazie alla signora Sandra, moglie del Coach, quasi tutte le partite sono state registrate. Così abbiamo scoperto quanto sia importante analizzare, frammento per frammento, le partite. Solo guardandosi e capendo gli errori, infatti, si può migliorare.
In serata, giungono comunicazioni a riguardo della giornata da recuperare. Viene cambiato parecchio, ma comunque siamo attesi da altre belle partite.
Ci ricapita EAU, che nuovamente ci batte, in un remake fotocopia, di un solo touchdown. Ci imbattiamo poi nell’allegra e forte squadra cilena, i primi sudamericani presenti ad un Mondiale, che ci batte di un paio di touchdown, in una partita complessivamente equilibrata. In rapida successione, battiamo i Paesi Bassi, al termine di una divertente partita. E a fine giornata incontriamo Hong Kong, meno determinati dei giapponesi, ma con la stessa foga agonistica, pur essendo ormai serata inoltrata. Campo pesantissimo e stanchezza massima hanno decretato una partita dai molti errori, ma giocata da entrambe col coltello fra i denti. Sofferta e tirata. Prevalgono loro di un touchdown.
Al termine della terza e penultima giornata, in virtù delle vittorie su Cina, Olanda e degli scarti nei risultati delle varie partite, finiamo al 4 posto della nostra divisione.
Ci attende un’ultima e tremenda fatica la mattina del quarto giorno, ancora con Hong Kong. Giocatori provati, dall’enorme dispendio di energie in tutto l’arco del Mondiale, si sfidano per il bronzo. Vincono loro, con un paio di touchdown di scarto, ma solo dopo aver dato tutto.
Finiamo diciannovesimi. Non un gran risultato sulla carta, ma un grandissimo risultato in termini di presenza per il nostro movimento, di crescita personale di tutti i presenti e di soddisfazione per essere finiti davanti a Cina, Paesi Bassi e Germania.
Ad maiora